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Un romanzo semplice e diretto, giunto a spezzare un lungo periodo di distanza dalla lettura.
Paesaggi familiari, descrizioni che ricordano desideri.
"La vita prima o poi colpisce e lascia un buco nel cuore. E da lì si infilano i nemici." (p.22)
"Ma ci sono cose che si imparano nella tempesta, e la disperazione alla fine mi ha permesso di resistere, senza saperlo mi ha reso libera, come chi si disinteressa dell'esistenza, [...]" (p.95)
La narrazione in prima persona ha un registro artificioso, non è lei che racconta, è un narratore che la osserva dall'esterno, con occhi un po' miopi.
Sono gli occhi dello Straniero, è il racconto dell'autore.
Di lei, che narra in prima persona descrivendo sè stessa da dentro, c'è poco.
Un involucro vuoto, parole raccolte e giustapposte a riempire una sagoma, parole che non convincono.
La descrizione del bosco, della montagna, degli esseri che la abitano, ambiente accogliente ma duro, implacabile, sembra forzatamente naturale, forzosamente in sintonia con le persone.
Si legge rapidamente, ma richiede fretta, perché soffermarsi sulle parole accentua la noia. D'un fiato, invece, scorre il turbinio di descrizioni ed emozioni, e la storia, lì ferma, sembra proseguire. Per poi arenarsi, di nuovo. Va avanti e non procede.
Bucolico in modo eccessivo, senza una trama. Colmo di luoghi comuni.
Amo questo libro in quanto oggetto, perché rappresenta un pensiero, un regalo gradito ricevuto da persone care; eppure la lettura è rimasta incompiuta. Ho saltato decine di pagine per leggere la fine, e non mi è tornata la voglia di colmare le lacune.
Peccato.
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