martedì 31 maggio 2022

PASTORALE AMERICANA - Philip Roth

La vita decide per noi. Il caso, o le nostre scelte?

E' un giovane fortunato, Seymour Levov. Bello, talentuoso atleta, uomo d'affari di successo.
Cosa nasconde la facciata?
Cosa siamo, cosa diventiamo, cosa ci accade?

Nathan Zuckerman, compagno di scuola di Jerry Levov, fratello di Seymour lo Svedese, più giovane di qualche anno e da sempre portatore di una sconfinata ammirazione per quel giovane perfetto, è uno scrittore. 

E scrive di lui, in Pastorale Americana.
Dove finisce il resoconto, lasciando spazio all'immaginazione?

Uno spaccato di vista statunitense profondo, articolato, doloroso, crudo, appassionato. 

Il sogno americano che può diventare incubo. La faccia cangiante di una medaglia truccata. 

Passato e presente si alternano. Perché è nel passato  che affonda le radici il presente, anche se non è sempre facile individuare quello specifico avvenimento, istante, accidente che ha prodotto questa specifica situazione, risultanza, condizione.

"Una grande idea si impossessa di lui: la sua capacità di soffrire non esiste più" (p.393)

Il confine tra autenticità e finzione è labile e sfumato, seghettato, irregolare, mutevole. 

Cosa ci porta a essere ciò che siamo, a fare ciò che facciamo? E qual è la Cosa Giusta da fare? Esiste una Cosa Giusta da fare?
Duro e non sempre scorrevole, questo fiume di descrizioni e riflessioni che si arricciano le une nelle altre. Eppure un bel libro che ben guida chi legge nelle pagine di una storia recente e lontana, nelle circonvoluzioni di una mente che vorrebbe essere lineare e scopre a sue spese che non l'ordine, ma un'illogica logica, governa le azioni umane.

"Non avendo la rabbia al passivo, non l'ha neppure all'attivo. Secondo questa teoria, è la mancanza di rabbia he finisce per uccidere. Mentre l'aggressività depura e guarisce". (p. 83)

"Tutto quello che non era riuscita a ottenere con [...] lo aveva realizzato magnificamente diventando matta" (p.264)




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