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Incipit strepitoso, per un libro degno di Pennac.
Dopo
Come un Romanzo, apologia della lettura in quanto puro piacere personale, Diario di Scuola esprime la libertà negata all'imparare.
Vivo e vitale. Divertentissimo, a tratti esilarante.
Rappresenta una profonda analisi di come l'istituzionalizzazione del sapere possa impedire la conoscenza che sulla carta promuove.
Qualche citazione, tratta da un libro che vale la pena di leggere per intero.
Un pomeriggio [...] mentre mio padre mi spiegava trigonometria nella stanza che fungeva da biblioteca, il nostro cane venne quatto quatto a mettersi sul letto dietro di noi. Appena individuato, fu seccamente mandato via: " Fila di là, cane, sulla tua poltrona!"
Cinque minuti dopo, il cane era di nuovo sul letto. Ma si era preso la briga di andare a recuperare la vecchia coperta che proteggeva la sua poltrona e vi si era steso sopra. Ammirazione generale, ovviamente, e giustificata: tanto di cappello a un animale in grado di assiciare un divieto all'idea astratta di pulizia e trarne la conclusione che occorresse farsi la cuccia per godere della compagnia dei padroni, con un vero e proprio ragionamento! Fu un argomento di conversazione che in famiglia durò per anni. Personalmente, ne trassi l'insegnamento che anche il cane di casa afferrava più in fretta di me. Credo di avergli bisbigliato all'orecchio: "Domani ci vai tu a scuola, leccaculo!"
Maledizione del ruolo sociale per il quale siamo stati istruiti ed educati, e che abbiamo recitato "per tutta la vita", cioè per la metà del nostro tempo da vivere: toglieteci il ruolo, non siamo più nemmeno l'attore.
Queste carriere finite tragicamente evocano un'angoscia a mio avviso assai paragonabile al tormento dell'adolescente che, convinto di non avere alcun avvenire, prova così tanto dolore a dover continuare comunque. Ridotti a noi stessi, siamo ridotti a nulla. Tanto che, qualche volta, ci uccidiamo. Come minimo, è una lacuna della nostra educazione.
Il sapere è anzitutto carnale. Le nostre orecchie e i nostri occhi lo captano, la nostra occa lo trasmette. Certo, ci viene dai libri, ma i libri escono da noi. Fa rumore, un pensiero, e il piacere di leggere è un retaggio del bisogno di dire.