[La vergogna] ... "quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa." (p.4)
Dopo Auschwitz, il ritorno a casa. Pochi superstiti, "fortunati".
Un viaggio che dura un anno.
"A Slizk, nel luglio 1945, sostavano diecimila persone; dico persone perché ogni termine più restrittivo sarebbe improprio". (p. 117)
Un viaggio accidentato, incerto, duro. La fine della guerra, la fine della deumanizzazione nel campo di sterminio non è pace ritrovata.
Si attraversano luoghi, si incrociano persone, si ripensa a un passato recente e impensabile, e a uno meno recente, e più difficile da rievocare.
"Rimanemmo a Staryje Doroghi, [...] per tre lunghi mesi: dal 15 luglio al 15 settembre del 1945.
Furono mesi di relativo benessere, e perciò pieni di nostalgia penetrante. La nostalgia è una sofferenza fragile e gentile, essenzialmente diversa, più intima, più umana delle altre pene che avevamo sostenuto fino a quel tempo; percosse, freddo, fame, terrore, destituzione, malattia." (p. 137)
Kazàtin.
"... la cesura di Auschwitz, che spaccava in due la catena dei miei ricordi" (p. 180)
C'è un evento spartiacque nella vita di molti, un evento che divide in prima e dopo la catalogazione degli avvenimenti che ci riguardano.
"Non avevamo provato alcuna gioia nel vedere Vienna sfatta e i tedeschi piegati: anzi, pena; non compassione, ma una pena più ampia, che si confondeva con la nosta stessa miseria, con la sensazione, greve, incombente, di un male irreparabile e definitivo, presente ovunque, annidato come una cancrena nei visceri dell'Europa e del mondo, seme di danno futuro". (p. 194)
Il risveglio
"Eravamo stanchi di ogni cosa, stanchi in specie di perforare inutili confini" (p. 197)
"Quanto di noi stessi era stato eroso, spento? Ritornavamo più ricchi o più poveri, più forti o più vuoti?" (p. 199)
"Il veleno di Auschwitz"
Il ritorno, il risveglio e un incubo che rimane reale.
Cosa può fare l'essere umano ad altri esseri umani?
Ferite inguaribili, tuttora inferte.
Impunemente e tra l'indifferenza di chi non se ne sente partecipe.
Indifferenza che è complicità.
La banalità di un male che non cessa né si cancella.