Lucido e razionale il resoconto di Hannah Arendt del processo ad Eichmann a Gerusalemme.
Non si tratta di un processo ordinario, non ha nulla di "normale".
Appare evidente che non si tratta del processo ad una persona che si è resa complice di un crimine orrendo, una vera e propria carneficina, ma è il processo a un'idea astratta, l'antisemitismo.
Evidenzia irregolarità, stranezze, superficialità, anomalie sia nella lettura dei documenti che nell'ascolto dei testimoni. Sottolinea presenze e assenze.
Testimonianza apparentemente fredda e molto articolata, quella di Arendt. Agghiacciante la semplicità nel racconto di fatti impensabili eppure accaduti.
Un saggio estremamente interessante, per comprendere il passato e una buona parte dell'attuale presente.
Quando l'attenzione in un processo si sposta dal particolare all'astratto, dai fatti concreti alle ideologie, dai crimini commessi al desiderio di riscatto che assomiglia alla vendetta, il risultato è scadente.
Un pessimo processo, nessuna analisi costruttiva le cui conclusioni possano sostituire le basi per un cambiamento di rotta.
L'antisemitismo è protagonista, non il valore della vita umana.
Dalle leggi razziali, l'imposizione della croce gialla, primo passo apparentemente innocuo ma che in sé segnava il destino di coloro che la portavano, alla "soluzione finale", lo sterminio di tutti gli ebrei, sembra esista una distanza incolmabile.
I fatti dimostrano che è breve, brevissimo, il tratto che separa la discriminazione dalla violenza più atroce.
"Perché non vi ribellaste?"
[...]
"Ma la verità vera era che sia sul piano locale che su quello internazionale c'erano state comunità ebraiche, partiti ebraici, organizzazioni assistenziali. Ovunque c'erano ebrei, c'erano stati capi ebraici riconosciuti e questi capi, quasi senza eccezioni, avevano collaborato con i nazisti, in un modo o nell'altro, per una ragione o per l'altra. La verità vera era che se il popolo ebraico fosse stato realmente disorganizzato e senza capi, dappertutto ci sarebbe stato caos e disperazione, ma le vittime non sarebbero state quasi sei milioni".
"Ché la lezione di quegli episodi è semplice e alla portata di tutti. Sul piano politico, essi insegnano che sotto il terrore la maggioranza di sottomette, ma qualcuno no, così come la soluzione finale insegna che certe cose potevano accadere in quasi tutti in paesi, ma non accaddero in tutti. Sul piano umano, insegnano che se una cosa si può ragionevolmente pretendere, questa è che sul nostro pianete resti un posto ove sia possibile l'umana convivenza".
Dichiara tra l'altro Eichmann che "I giudici non l'avevano capito: lui non aveva mai odiato gli ebrei, non aveva mai voluto lo sterminio di esseri umani. La sua colpa veniva dall'obbedienza, che è sempre stata esaltata come una virtù. Di questa virtù i capi nazisti avevano abusato, ma lui non aveva mai fatto parte della cricca al potere ..."
Ogni guerra è criminale.
"La verità è infatti che alla fine della seconda guerra mondiale tutti sapevano che i progressi tecnici compiuti nella fabbricazione delle arimi rendevano ormai "criminale" qualsiasi guerra. Proprio la distinzione tra soldati e civili, tra esercito e popolazione, tra obiettivi militari e città aperte, su cui si fondavano le definizioni che dei crimini di guerra aveva dato la convenzione dell'Aja, proprio quella distinzione era ormai antiquata".